Lo spunto sta in un rapporto pubblicato recentemente dal Ministero per lo Sviluppo Economico, nel quale si raccomanda la nascita di un Istituto Italiano per l’Intelligenza Artificiale, che faccia da punto di riferimento per istituzioni, atenei ed aziende. E il sacerdote torinese coglie immediatamente la palla al balzo. «Questa città avrebbe tutte le carte in regola: tecnologie, cultura d’impresa, cultura sociale e propensione all’innovazione». E’ ancora presto per capire quale strada prenderà il progetto, ma è senz’altro interessante che a lanciare la proposta sia un uomo di Chiesa.
L’attenzione del sacerdote per il mondo digitale ha radici lontane. Già prima di entrare in seminario, quando era un giovane avvocato, Peyron si occupava di proprietà industriale: marchi, brevetti, diritto d’autore. E’ in quel periodo che ha iniziato a studiare, dal punto di vista dei risvolti legali, i cambiamenti tecnologici che stavano investendo la società. Parliamo di metà anni ’90: a quell’epoca, per la maggior parte degli Italiani, internet non era che un miraggio evanescente. Tempi da pionieri, insomma. Poi, il cambio di vita, la scelta religiosa. Ma anche come sacerdote don Peyron non ha smesso di appassionarsi all’argomento. Anzi, lo ha approfondito, anche sul piano teologico. E non è un caso che, nel 2019, proprio su suo impulso la Diocesi di Torino abbia sperimentato un coraggioso progetto legato all’apostolato digitale.
Ma ora l’orizzonte si sposta ulteriormente, con la proposta di realizzare di un centro multidisciplinare. «Immagino un ambiente fondato sulla circolarità, in cui l’ingegnere e il filosofo possano dialogare, come del resto già ora avviene all’interno del nostro laboratorio sull’apostolato digitale, uno spazio in cui ci sia posto per la grande industria come per la piccola impresa». Chiaramente la Diocesi non potrebbe, da sola, farsi carico del progetto, impensabile senza il coinvolgimento delle istituzioni e del mondo produttivo. Alla Chiesa però potrebbe spettare un ruolo di raccordo «e uno sguardo totalmente orientato al bene comune, senza alcun interesse politico o economico». In città e in Regione l’idea ha già incassato numerose manifestazioni di sostegno, dalla sindaca Chiara Appendino all’Unione Industriale, dall’Università al Politecnico. E ha innescato riflessioni anche all’interno del mondo ecclesiale. Ma, a ben vedere, secondo don Peyron, «la vocazione all’innovazione fa parte della storia del Cristianesimo, da sempre. E non dimentichiamo che tra i padri dell’intelligenza artificiale c’è anche un gesuita». Si tratta di Roberto Busa, un pioniere che già negli anni ’40 si occupò di informatica linguistica applicata ai testi di san Tommaso d’Aquino.
Insomma, nulla di strano o di fuori dal seminato della Chiesa. Tutt’altro. «Non dobbiamo aver paura di sporcarci le mani» conclude don Peyron. «Papa Francesco ci insegna che il pastore deve avere addosso “l’odore delle pecore”. Il che significa anche l’odore del tempo presente, della vita vissuta. La Chiesa non resta in un angolo a giudicare ciò che fanno gli altri, ma sa essere propositiva, portatrice di innovazioni. Accade dai tempi del monachesimo e potrà accadere ancora con l’intelligenza artificiale. Magari per scoprire che il pensiero medievale, apparentemente così distante da noi, può essere ancora fondativo, perché in fondo le domande che l’uomo si pone sono le stesse di sempre».