(Foto Reuters sopra: sciatrici e sciatori su una pista in Iran)
La squadra femminile iraniana di sci alpino è partita alla volta dell’ Italia, per i Mondiali di sci a Cortina. Ma senza la sua Ct. La head coach Samira Zargari è rimasta a casa, in Iran, perché suo marito le ha proibito di partire e lasciare il Paese. Secondo le legge della Repubblica islamica, una donna sposata ha bisogno del permesso scritto del marito per ottenere il passaporto o viaggiare fuori dal Paese. Come ricorda il rapporto 2021 di Human rights watch sui diritti umani nel mondo, le donne iraniane sono ancora soggette e discriminazioni e forti limitazioni dei loro diritti in materia di matrimonio, divorzio, eredità e decisioni che riguardano i figli. Secondo il codice civile, il marito ha il diritto di scegliere il luogo di residenza della famiglia e ha la facoltà di vietare alla moglie determinate occupazioni lavorativa se queste sono ritenute contrastanti con i “valori familiari”. In un tribunale, inoltre, la testimonianza di un solo uomo equivale a quella di due donne.
In Iran non esiste una legge contro la violenza domestica e nel periodo del lockdown a causa del Covid-19 sia le autorità che le organizzazioni per i diritti delle donne hanno registrato un forte aumento dei casi di violenza di genere all’ interno delle mura domestiche. Negli ultimi anni numerose attiviste per i diritti femminili sono state arrestate, alcune di loro a causa delle proteste pacifiche contro l’ obbligo dell’ hijab, il velo islamico - introdotto dopo la Rivoluzione islamica del 1979 -, reclamando che indossare il velo dovrebbe essere una libera scelta di ogni singola donna e non un’ imposizione dall’ alto. Attviste come Saba Kord-Afshari, detenuta nella prigione di di Evin a Teheran, arrestata nel 2019 per il suo rifiuto di coprirsi il capo con l’ hijab e e condannata a 24 anni complessivi di carcere, secondo il codice penale islamico, per “aver incoraggiato le persone a commettere immoralità e/o prostituzione”, per “associazione e collusione contro la sicurezza interna ed esterna”, per “propaganda contro il sistema”. Le sono state inoltre vietate le attività social.
Va ricordato il calvario di Nasrin Sotoudeh, 57enne avvocata e attivista per i diritti umani, vincitrice nel 2012 del Premio Sakharov del Parlamento europeo per la libertà di pensiero. La Sotoudeh è in carcere dal 2018, a marzo del 2019 è stata condannata a 33 anni di reclusione e 148 frustate a causa della sua attività legale in difesa e rappresentanza delle donne iraniane che protestano contro l’ obbligo del velo. Il 7 novembre del 2020 l’ attivista aveva ottenuto un rilascio temporaneo perché risultata positiva al Covid-19. Ma la sua libertà è durata meno di un mese: ai primi di dicembre le autorità giudiziarie hanno ordinato di riportarla in carcere. L’ Iran è il Paese del Medio Oriente più gravemente colpito dal virus: lo scorso settembre la Sotoudeh aveva terminato uno sciopero della fame di 45 giorni per chiedere il rilascio del detenuti a causa della diffusione del Covid nelle carceri, e la sua salute era già fortemente indebolita.
E’ finito invece l’ incubo di Narges Mohammadi, anche lei famosa attivista iraniana, vicepresidente del Centro per i difesori dei diritti umani, Ong fondata e presieduta dall’ avvocata, Premio Nobel per la pace nel 2003, Shirin Ebadi, da anni in esilio in Gran Bretagna. Arrestata a maggio del 2015 - come ricorda Amnesty International - e condannata nel 2016 a 16 anni di carcere per “collusione contro la sicurezza nazionale” e “propaganda contro lo stato”, la Mohammadi è stata rimessa in libertà l’ 8 ottobre del 2020. La Ebadi aveva levato la sua voce e lanciato appelli per la liberazione dell’ amica e collega detenuta, che pur essendo gravemente malata non aveva il permesso neppure di essere visitata da un medico. L’ attivista è uscita di prigione fortemente provata e in cattive condizioni di salute. Ma ora è libera. Il cammino delle donne iraniane non si arresta.